MARGHERITA

Genova, una mattina di inizio Settembre.

Sono seduta su una panchina di fronte al mare ad aspettarla.

Eccoli lì i suoi occhi, li porto con me ovunque.

Provate a immaginarli: ritrovarli qui non è poi così difficile.

Avanti e indietro, avanti e indietro, incessantemente come le onde. Anche loro non si stancano mai.

Azzurri azzurri, blu blu. Come quel “laggiù all’orizzonte” che non sai più se è cielo oppure acqua.

I suoi occhi sono esattamente così. Ti incantano, ti distraggono, ti sorprendono. E non sai più se sono qua o sono là.

Alle mie spalle il suo castello. A proteggerci, un approdo sicuro in questi anni a volte molto scomodi.

Lei è dentro con le sue “ancelle”, i suoi pennarelli, le sue matite, fogli, birilli e hula hoop. Due volte a settimane fa riabilitazione visiva e psicomotricità in questo Istituto. Ha iniziato che aveva cinque mesi. Ama questo posto e questo posto ama lei e tutti i bimbi come lei.

È vero, non ci sono evidenze scientifiche sull’efficacia di una “ginnastica sensoriale”. Ma ve l’ho detto. È l’attracco che ci ripara dalle nostre paure, ma soprattutto è il suo castello. E finché la favola funziona perché spodestare una principessa?

Le primissime volte, anni fa, osservavo questo posto come se fosse la nostra prigione dove noi tutti avremmo dovuto scontare una pena.

Colpevoli di Nistagmo.

Nistagmo è indubbiamente una parolona complicata, non certo melodica, eppure accompagna un’instancabile danza lenta, costante e “maledettamente affascinante”.

Inizialmente è stato difficile.

Lei aveva pochi mesi, questi occhi pendolavano senza sosta, in uno spettacolo mai rivolto al pubblico che invece li scrutava incuriosito e ipnotizzato da questo persistente “qua e là”, “qua e là”, “qua e là”.

A piccoli passi, sempre stretti per mano, io e mio marito ci siamo arrancati su grossi scogli, abbiamo snocciolato mille acronimi e imparato tante parole nuove: ERG, PEV, le scosse, la testa che non sta dritta, il punto di blocco, lo strabismo, la patente forse no, la disabilità invece sì, questo si può fare e questo invece no.

Sempre per mano siamo diventati grandi.

Ogni tanto, la sera, seduti a tavola, ripercorriamo la sua storia. La nostra.

Ricordiamo l’ecografia ecotransfontanellare, lei piccola come una pagnotta, e le valutazioni sulla presunta immaturità posturale.

E poi una busta chiusa consegnata con un commento infelice di un medico poco delicato: “Si denota una situazione patologica, dovreste parlarne con il vostro pediatra”.

Presunte malattie e altre parole che fanno solo paura a ripeterle e quindi non lo farò.

Genova-Milano con quella busta e tutti gli esami tra le mani, il batticuore e l’agitazione.

Milano-Genova con il sorriso perché qualche dottore più sensibile aveva trovato le parole giuste. Perché servono anche quelle: le parole giuste.

E mio marito dice sempre “quel giorno a Milano è stato il più bel giorno della mia vita”.

La felicità è sempre relativa. Dipende solo da dove piazzi il punto zero.

A quattro anni e mezzo di nuovo Milano, e l’intervento per correggere lo strabismo. I pagliacci Ciupa e Puzzettone che strappano sorrisi ai piccoletti, ma soprattutto diventano due pilastri a sorreggere genitori che si sgretolano un po’ in un’attesa infinita. La dottoressa che esce dalla sala operatoria: “È andato tutto molto bene mamma e papà. State tranquilli”.

I momenti di felicità, quelli veri, si contano sulle dita di una mano.

Margherita è una bimba diversa da qualche altro bimbo. Completa nella sua “imperfezione”. Vi avrei potuto raccontare che sa nuotare, sa sciare, sa cantare (male), sa ballare, sa suonare il pianoforte (a modo suo), sa disegnare, sa parlare ininterrottamente per ventiquattro ore quasi senza prendere fiato (lingua instancabile come i suoi occhi), sa andare in bicicletta, sa farci ridere a crepapelle e sa farci arrabbiare a modino, e poi sa “rompere le ballette” molto di più di tante sue amichette.

Ma non sono tutti questi “sa” a renderla straordinaria. Li metterete anche voi sui vostri bambini.

Margherita ci ha insegnato che bisogna guardare sempre un po’ più in là (sì, giuro: ce lo ha insegnato proprio lei!!!), che non bisogna infognarsi alle prime difficoltà (“lei non può” spesso non esiste se non ha nemmeno provato), e che le tasche sono sempre due. Una per quel fazzoletto di riserva che ahimè ogni tanto si inumidisce un po’ (e lasciatevi pure andare alla lacrimuccia quando serve), l’altra per raccogliere tutti i vostri felici “ohhhh” di stupore che arriveranno.

Perché i loro occhi ti incantano, ti distraggono, ti sorprendono.

È una mattina di inizio settembre, tra qualche giorno Margherita compirà sei anni.

Tra una settimana la prima elementare. E non è mica finita.

Ma noi genitori abbiamo tasche larghe e siamo diventati grandi.